VINICIO CAPOSSELA: Le radici ed il ballo Recensione Milano
VINICIO CAPOSSELA
“POLVERE TOUR”
MARKET SOUND
29 GIUGNO 2016
MILANO
Di Luca Trambusti
Voto: 8
E’ un periodo, lungo in verità, molto intenso quello di Vinicio Capossela. In uscita per lui un libro (il Paese dei Coppoloni), da cui è stato estratto un omonimo docu/film (leggi qui recensione) , un doppio disco, un altro libro/cofanetto “Vinic’io” (su di lui questa volta in uscita per Skira il 14 Luglio) e sopratutto la prima parte di un tour che, al pari del disco, sarà diviso in due parti. La prima, quella denominata “Polvere” è partita il 28 giugno da Roma ed il 29 giugno ha fatto tappa al Market Sound di Milano.
Nell’ampio spazio alla periferia di Milano sotto un gigantesco palco Vinicio ha portato il suo spettacolo in un parterre attrezzato con tante seggioline rosse che, dopo l’inizio dello show, hanno fatto il loro compito solo per pochi secondi.
“Nella città delle polveri sottili e delle polveri da naso, noi portiamo la polvere della terra” così introduce il concerto Vinicio per rimarcare la vicinanza della sua musica alla terra ed ancora più sotto: alle radici.
Le due ore e mezzo del concerto partono molto bene, con una “messa in scena” di origine teatrale con una specie di spaventapasseri che balla sul palco che è addobbato con delle balle di fieno dietro le quali prendono posto i diversi musicisti che lo accompagnano. Sul palco con Vinicio Capossela ci sono Glauco Zuppiroli (contrabbasso, guitarron), Mirco Mariani (mellotron, batteria, cymbalon), Alessandro “Asso” Stefana (chitarra, banjo), Victor Herrero (chitarra battente, chitarra elettrica, chitarra classica, vihuela), Agostino Cortese “Ago Trans” (cupa cupa, grancassa), Antonio Vizzuso (cupa cupa, tamburi), Enza Pagliara (voci e tamburi), Giovannangelo de Gennaro (voci, viella, aulofoni, tamburi), Sergio Palencia e Angelo Mancini, i “Mariachi Mezcal” (trombe).
La partenza è a razzo, con grande energia e ritmo tanto che gli spettatori subito si spostano sotto palco abbandonando le seggioline rosse di cui sopra. E’ impossibile stare fermi. La prima parte si sviluppa sulle canzoni del nuovo doppio album “Le Canzoni della Cupa” che è un viaggio nelle sue terre d’origine, un recupero folk e popolare. Questo è infatti, tra l’altro, ciò che arriva dal palco durante il concerto. Ritmo ed energia con suoni di folk nazionale ma anche musica tex mex, grandi atmosfere desert, mariachi, walzer, twist e tarante.
Dunque per l’inizio tutto bene, le premesse sono delle migliori con Vinicio a raccontare in musica e brevi introduzioni, le sue storie di paese quelle di una cultura primordiale e contadina il tutto riscoperto, come un nostrano Alan Lomax, direttamente sul campo con vive testimonianze. Ma con l’andare del concerto la curva ritmica scende, decade sino ad una fase in cui il ritmo lascia spazio ad un’atmosfera intrisa d’intimismo che fa calare la soglia d’attenzione ed il coinvolgimento o meglio spostando lo spettacolo su un piano emotivo più che fisico. In valore assoluto questo non è negativo ma il contesto in cui il concerto si svolgeva e quanto ascoltato sino a quel momento, spezzano lo show ed il suo ritmo. Il contesto teatrale sarebbe più idoneo a queste atmosfere che richiedono un’attenzione difficile da prestare in un’area all’aperto capace di contenere sino a 15,000 persone (non era ovviamente questo il caso pur con una buona affluenza di pubblico).
Questa parte del concerto dura qualche brano (incluse le composizioni di Matteo Salvatore) per poi improvvisamente far risalire il ritmo con una infallibile tarantella che, senza sbagliare ed inevitabilmente, rimette in pace con l’idea di “festa”. Da lì è un crescendo di ritmo, balli frenetici e questa coinvolgente ed appassionate atmosfera da festa sull’aia che non lascia indifferente il pubblico (solo poche le persone ancora sedute…… probabilmente con qualche problema di deambulazione). E’ anche il momento dei classici di Vinicio, i sui brani storici, i più coinvolgenti, quelli che il pubblico conosce ed a cui partecipa, rivisti con un dei bellissimi arrangiamenti grazie anche alle scelte sonore fatte con la formazione (pressoché acustica ma con una grande chitarra elettrica). Il concerto si chiude su un’ipnotica e psichedelica versione di “Ballo di San Vito” una tarantella degna delle spiagge dell’India.
I tre bis sono nuovamente “d’atmosfera”, senza concessioni al ritmo ed alla festa.
A parte gli “inopportuni” (solo per questioni di location) momenti “intimi” il concerto scorre bene, anche se ha una notevole “frattura” centrale. Una prima parte, quella legata al nuovo disco, molto “intellettuale” ma allo stesso tempo coinvolgente ed una seconda completamente sudata. Solo il “cuore” e la “coda” lasciano qualche perplessità.
Comunque la bravura e la capacità di tenare il palco da parte di Vinicio sono per l’ennesima volta confermati. Da vedere. Restiamo anche in attesa della parte “teatrale” dell’autunno inverno.
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