KRAFTWERK: L’avanguardia anni ’80. Recensione.
KRAFTWERKVerona Arena
25 luglio 2016
Voto: 6,5
di Francesco Bommartini
Foto Barbara Ficca
KRAFTWERK Verona Arena
Dopo aver seguito il live che i Kraftwerk hanno tenuto lunedì 25 luglio sera nell’Arena di Verona sono sempre più convinto che sia necessario scalare qualche marcia all’attuale velocità che contraddistingue la nostra vita. Il gruppo tedesco, di Dusseldorf, è antesignano dell’elettronica. Lo ha dimostrato durante le oltre due ore di live.
Immagini in 3D
I quattro membri attuali, con il solo Ralf Hutter sopravvissuto agli anni ’70, hanno esplicitato in ogni modo il significato di essere avanguardistici negli anni ’80. La trovata di far proiettare immagini in 3d durante il concerto, debitamente filtrate da appositi occhialini consegnati all’ingresso ad ognuno dei circa 10mila presenti, si è dimostrata avvincente. Quantomeno all’inizio.
Un modem 56K
La grafica anni ’80, le immagini ripetute allo sfinimento, sono un segno dei tempi che passano. I più giovani hanno apprezzato solo in parte, preda del tipico gap generazionale sotto formato elettronico. I Kraftwerk sono sì digitali, ma assomigliano più ad un modem 56k che all’Adsl, più ai vecchi coin op che alla Playstation 4. Ed anche l’età del pubblico è stata tendenzialmente coerente con l’età anagrafica dei quattro.
Assenza di empatia
I tedeschi sono quanto di meno comunicativo possa esistere. Attenzione, non parlo delle canzoni, che invece stupiscono per i testi minimali eppure così efficaci, bensì dell’interazione con il pubblico. Di fatto totalmente assente.
I successi
La carrellata di brani proposti è stata continua. Nessuna pausa importante, se non prima di Robots, bis in cui sono stati inseriti sul palco quattro robots vestiti con la caratteristica camicia rossa e cravatta nera. Loro erano invece bardati con una tutina nera. Dopo lo spegnimento delle luci e l’intro il concerto è cominciato con Numbers, mentre venivano proiettati i numeri dall’1 all’8, segnati anche sugli occhialini 3d. Mentre gli inglesi di fianco a me facevano bisboccia, si sono susseguite Computer World, Home Computer, Computer Love, Mini Calculator (con una calcolatrice proiettata sul megaschermo alle spalle dei quattro ed inserti sonori adeguati), The Man-Machine, Spacelab.
Ossessione per la macchina
L’ossessione per la macchina, e il computer, ha un valore differente per i Kraftwerk. Che, in piedi dinanzi ai loro computer portatili Sony Vaio, debitamente mascherati con desk colorati da luci in continuo movimento, non si girano mai a guardarsi l’un con l’altro.
La lunga Autobahn, Airwaves, la significativa Radioactivity sono sintomatiche del sound del progetto. Quintali di elettronica con suoni coinvolgenti ma non boombastici, con pad di batteria thin che sfociano nella dance e nella techno. Poche le parti cantante (sarebbe meglio dire parlate), tutte filtrate per sottolineare gli aspetti metallici, anche della voce. Ma la loro passione per l’elettronica non spaventa.
L’umanità è sempre dietro l’angolo
L’umanità è sempre dietro l’angolo, cosa che oggi invece spesso sembra dimenticata in favore di una velocità cacofonica. La loro musica è ossessiva, certo, ma unita all’arte visiva espone significati diversi. Segno che qui come non mai le immagini hanno un senso più profondo di una semplice sfumatura. Fanno parte di un discorso di cui Tour De France, 1983 e 2003, Trans Eruopa Express, Abzug, Planet of Visions sono solo singole frasi. Peraltro talmente visionarie da risultare accettabili anche oggi. Perché in fondo, chi ha più di 30 anni, ricorda ancora il 386, l’Atari o quantomeno il Nes. E li piange, in tempi di facebook ed estrema frammentazione.