EX-OTAGO: non siamo mai stati hype, siamo cresciuti un po’ alla volta. Intervista

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EX OTAGO intervista
Parlando del concerto e della loro storia

Di Luca Trambusti

LEGGI QUI RECENSIONE DEL CONCERTO

VEDI QUI PHOTOGALLERY DEL LIVE 

Sono una delle band che in questo momento sta raccogliendo i frutti di ciò che hanno seminato nel tempo (non a caso il cantante è anche un contadino). Il loro nuovo tour sta regalando ai cinque genovesi tante soddisfazioni fatte anche di sold out e di un grande affetto da parte del pubblico.

Li abbiamo incontrati poco prima che salissero sul palco del Fabrique di Milano, a pochi minuti dal suonare di fronte ad una platea che ha portato al sold out il locale milanese.

Come raccontereste questo concerto?

E’ un concerto che diverte noi ed il pubblico, concepito come un momento di liberazione dove accadranno un sacco di cose che ci piacciono. Canzoni d’amore saranno mischiate alla dance anche un po’ trash, in bilico tra il cattivo gusto e la grande figata e speriamo caschi verso quest’ultima. Insomma un trash di alta qualità, un po’un’otagata, cioè una roba fatta un po’ fuori contesto o un po’ sbagliata ma che alla fine ti convince e conquista.

Nel concerto ci sono momenti divertenti ed estremizziamo i nostri due lembi: quello poetico e quello danzereccio. Siamo cresciuti con la dance commerciale, con quel momento musicale che molti odiano e che pensano sia il male assoluto.

Infine questo vuole essere un live aperto, in cui ognuno deve trovarci quello che vuole.

Un concerto “fedele alla linea” ma con qualcosa in più!

Siamo cresciuti e banalmente lo siamo anche dal punto di vista economico. Questo vuol dire che riesci a fare più cose o anche semplicemente solo ciò che vuoi.

Questo tour racconta gli Otago. Ora c’è un quadro completo di ciò che siamo e vogliamo. C’è il contatto col pubblico, balliamo, ci emozioniamo. Insomma accade ciò che volevamo accadesse.

Troviamo questo live molto maturo a livello artistico perché giochiamo anche coi vuoti, abbiamo capito come distribuire i ruoli e l’uso degli strumenti e tutto questo arriva da un percorso di crescita ed esperenziale.

Qual è il riscontro che avete avuto nelle prime date?

Molto positivo, abbiamo ricevuto mail di gente sorpresa e soddisfatta ed hanno apprezzato la narrazione, definendo tutto come una festa dove accadono cose belle.

Come avete costruito la scaletta?

Domandandoci cosa ti aspetteresti dalla tua band e cosa pensavamo di offrire.

Ragioniamo a momenti, sono fotogrammi di un film, è come in una montagna russa, un sali e scendi, la sorpresa, il giro della morte. E’ una narrazione non esplicita. Abbiamo cercato di unire brani vecchi e nuovi, alternarli ed associarli arrangiarli in modo diverso. Crediamo al live come elemento parallelo al disco, come una roba diversa.

In scaletta però ci sono pochi pezzi vecchi!

Abbiamo rinnegato il passato (scherzano e ridono). Tendenzialmente perché siamo legati al presente, non guardiamo indietro. C’è piuttosto molto “vecchio Otago” come approccio, come idea. C’è molta mentalità Otago nei fatti e nel mood più che nelle canzoni. Poi, ogni composizione ha un suo tetto e non sempre combacia con gli altri; ora il nostro tetto è diverso da quello del passato.

Ognuno di voi ha attività professionali collaterali alla musica come sposate le due cose?

(Fra è un ricercatore universitario, Maurizio fa il contadino, Simmi il grafico, Rachid organizza concerti per la sua etichetta ed Olmo è architetto Ndr).

Si sposa con naturalezza. Riusciamo a far convivere i diversi aspetti: siamo tutti sotto peso ma con fatica ce la facciamo. Noi siamo così: ne siamo orgogliosi e lo rimarchiamo. Stiamo dentro la musica in questo modo ed abbiamo anche messo dei paletti alla nostra discografica ed alla nostra attività. Non siamo musicisti puri e rifuggiamo dalla purezza. E poi è bello avere un’altra opportunità e una diversa visione di sé.

Qual è il rapporto di gradimento tra disco e live?

La dimensione live è importantissima, mentre il disco è un momento molto creativo. Sono due posti diversi come il mare o la montagna. Scrivere è soddisfazione ma anche frustrazione. Nel live c’è tanta liberazione ed uno scambio tra noi ed il pubblico inspiegabile. Nel live c’è il godimento, la scrittura fa parte dei sogni che possono però diventare incubi. C’è da dire che dopo 100 live, come lo scorso tour, non vedi l’ora di scrivere canzoni nuove.

Quanto la scrittura è pensata per il live?

Raramente capita. E’ vero però che quando ti esce il ritornellone già pensi alla figata che sarà dal vivo.

Non c’è comunque un collegamento diretto perché sarebbe tutto artificiale. Ci domandiamo però cosa piacerebbe al pubblico che rispettiamo moltissimo. Spesso è un casino portare i ruoli nel live perché in studio ognuno può suonare anche strumenti diversi, così metterli sul palco diventa un problema.

Dopo la vostra gavetta che effetto vi fa avere un Fabrique sold out?

Pensiamo che forse allora qualcosa di buono l’abbiamo fatto. Siamo artigiani. Ci siamo costruiti nel tempo, non siamo mai stati hype ed abbiamo sempre riempito con pubblico super affezionato. Siamo stati anche considerati da qualcuno il male della musica italiana e da qualcun altro invece geni assoluti ed innovatori. Siamo stati sempre molto easy e fatto ciò che avevamo in testa con grande onestà e sempre credibili.


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