MUSE: quando il rock diventa spettacolo. Recensione

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MUSE
MUSESIMULATION THEORY TOUR
12 Luglio 2019
Stadio San Siro
Milano

Voto: 7,5
Di Luca Trambusti

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140.000 spettatori

Preceduti dalla propria fama e da grandi consensi per il loro spettacolo, i Muse arrivano in Italia con tre appuntamenti, due a Milano allo Stadio San Siro (12 e 13 Luglio) ed uno all’Olimpico di Roma (20 luglio) per un totale di 140.000 biglietti venduti (sold out la prima data, biglietti disponibili per le altre due). Da tempo considerati una delle migliori band dal vivo i tre musicisti inglesi non fanno nulla per smentire questi “rumors” e con il nuovo tour mondiale superano ogni asticella, senza farsi mancare nulla.

L’uomo e le macchine
Muse Milano Scaletta

Il tour arriva a seguito dell’ultimo disco dal titolo “Simulation Theory” uscito lo scorso novembre che ruota intorno al concept del sopravvento delle macchine sull’uomo. Lo stesso tour vive su tale concetto, anzi, sembra avvalorarlo ed abbracciarlo essendo un concentrato di tecnologia e di “meccanismi”.

Ancor prima che lo show inizi, solo guardando il palco nella luce del tramonto, si impatta con la grandezza, la spettacolarità; elementi che verranno poi confermati durante il concerto. Già l’entrata della band è teatrale, grandiosa. In scena entrano dei ballerini con giubbotti luminosi, mentre i tre Muse emergono dal sotto palco su delle piattaforme. Il volume della musica è fortissimo, le luci ancora sono sotto tono (il concerto è iniziato poco prima delle 21 30 per dar tempo alla luce di scemare) mentre il mega schermo inizia già a fare il suo lavoro. La scenografia è colossale e tutto è amplificato al massimo sino a stordire lo spettatore.

Tecnologia e trovate sceniche

Il concerto è un concentrato di tecnologia, di trovate scenografiche, di luci, colori, sorprese, coriandoli e stelle filanti (che paiono in un tale contesto quasi banali). La musica pompa ed i Muse non tradiscono certo la loro cifra stilistica. I bassi (inclusa la cassa della batteria) sono “sovrappeso”, le basi aiutano i tre, mentre la chitarra è potente e piena di effetti. Peccato però che tutto questo s’intuisca solo a tratti perché la resa sonora non è certo delle migliori. C’è un grande impasto, i bassi coprono spesso tutto, la chitarra s’intuisce mentre la voce, con le sue melodie, a tratti resta impigliata in questa rete sonora. Tale risultato è, da una parte, frutto di una scelta produttiva dal punto di vista acustico e dall’altra (discendente dalla prima) dell’altissimo volume della musica. Tutto questo ci sta però perché lo spettacolo deve essere avvolgente e soprattutto “stordente” (in senso positivo).

Il risultato a volte è spiazzante quando l’immagine, la coreografia, la spettacolarità sopravanzano l’aspetto prettamente musicale. Non bisogna focalizzarsi su un unico particolare, è il contesto che fa il tutto. E’ la differenza che passa in fotografia tra un grandangolo ed uno zoom. E’ uno spettacolo a 360 gradi da godere nella sua interezza, lasciandosi trasportare sorretti dall’insieme di ogni singolo elemento.

Le luci disegnano incessantemente la scena, i fari sono ovunque: sulle passerelle, sopra il palco, sopra il pubblico (con due enormi torri) ed anche nel primo anello dello stadio. I ballerini (in realtà poco invadenti) sono spessissimo in scena ed anche loro (così come Bellamy) sovente hanno indumenti luminescenti oppure disegnano coreografie con dei tubi luminosi (effetto peraltro già visto anche nell’ultimo tour di Baglioni). Sulla punta della passerella da sotto il palco spuntano strumenti, microfoni e spesso il chitarrista si trova ad esibirsi lì. Gli schermi, che catturano molto l’attenzione, trasmettono immagini live del concerto (una camera costantemente segue i tre con il regista che gestisce le immagini) oppure visual che spaziano dallo psichedelico/liquido alla proiezione di un affascinante tecno scheletro robotico.

La potenza sonora

La musica è continua, in corso d’opera ci sono alcuni momenti strumentali (basi) che servono da raccordo “tecnico” tra i brani. L’unico momento più tranquillo è quando i tre si trasferiscono sull’estremità della passerella per eseguire “Dig Down”. Ma è solo un attimo. Per il resto è potenza sonora spinta. “Take a Bow” invece è il “festival” della luce, mentre il rush finale è il trionfo dell’energia, con la chitarra che suona forte, la batteria che pesta duro ed il basso che pompa prendendoti allo stomaco.

Aiuto c’è un mostro

La parte conclusiva è anche la più spettacolare, quando la scena viene invasa dal “mostro scheletro” che pare mangiarsi i musicisti (simbologia della tecnologia che divora l’uomo). E’ un crescendo che stordisce e spettina sino al potentissimo e rumorosissimo finalone.

In effetti i Muse con il “Simulation Theory World Tour” confermano la loro potenza e forza live, supportati da tecnologia e spettacolarità, mettendo in campo un concerto dai tanti elementi, equilibrati tra loro; equilibrio che solo in alcuni momenti si perde. Alla base però c’è il concetto di “show”, dello spettacolo totale, sino ad arrivare all’esagerazione. Se si amano cose più sobrie e meno esplosive questo non è certo il concerto adatto.


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