PFM: sul palco non devi mai annoiarti. Intervista
PFM CANTA DE ANDRÉ – Anniversary
Fabrizio non è scomparso. Senti la sua presenza e quanto sia contemporaneo
Patrick Djivas fa un bilancio del tour e parla della PFM
Intervista
Di Luca Trambusti
A distanza di 40 anni la PFM continua a tenere alto il ricordo di un’avventura musicale che ha segnato il corso della musica italiana. Il tour congiunto De Andrè PFM fu un incontro che generò un nuovo corso nella storia del rock e più ancora in quella della canzone d’autore. Nel 2019 per celebrare i 4 decenni la longeva band milanese ha intrapreso il “PFM CANTA DE ANDRÉ – Anniversary”, un fortunato tour che li ha impegnati per buona parte dell’anno e che ora riprende per altre 8 date. Per celebrare l’anniversario è rientrato nella band il tastierista Flavio Premoli (fondatore PFM ) e si è aggiunto Michele Ascolese, storico chitarrista di Faber.
Al momento celebrativo si aggiunge anche il film che documenta dal punto visivo quell’evento. Si tratta di registrazioni effettuate a Genova, le uniche disponibili perché fu quella la sola occasione in cui De Andrè autorizzò le riprese. Al di là della qualità video il film ha un vero valore documentale.
Di questo tour e di quello storico del ‘79, oltre che del presente della band, ne abbiamo parlato con Patrick Djivas , lo storico bassista della PFM. Ecco cosa ci ha raccontato.
Questa moderna versione dello storico tour congiunto, è stata un grande successo….
Direi di sì. Abbiamo fatto una 80ina di concerti molti sold out con grande soddisfazione anche del pubblico, che abbiamo visto molto variegato. Ci sono in platea giovanissimi a dimostrazione che la musica di Fabrizio è musica di oggi ed anche per i giovani-
Come avete affrontato quest’operazione?
Quello che suoniamo oggi è la conseguenza del lavoro di 40 anni fa. Affrontammo il lavoro in modo diverso dalla nostra personale produzione. Eravamo al servizio di una cosa precisa. Il nostro compito era di vestire quella poesia con una musica che Fabrizio non aveva mai curato particolarmente. Erano belle canzoni ma spoglie, quasi nichiliste. Noi aggiungemmo l’enfasi musicale che meritavano. Lui lavorava sui suoi testi sino all’impossibilità di cambiare anche una virgola. Noi con la musica facemmo la stessa cosa, stando attenti a non entrare a piedi uniti in una pozzanghera per fare casino. Sdoganammo la musica anche per i cantautori e da li si aprì una prateria.
Tutta questa attenzione e ricerca della perfezione ce la siamo ritrovata anche adesso. Abbiamo cercato di rifare gli stessi arrangiamenti anche se individualmente si è cercato di trattare la propria parte in maniera un po’ più moderna. Ora il tutto suona bene. C’è poi la parte centrale, che non c’era nel tour del 79, dedicata alla “Buona Novella” (album del 1970 di De Andrè a cui parteciparono “I Quelli” il cui nucleo centrale si trasformò poi in PFM nda).
C’è stata nostalgia in questa operazione?
No, assolutamente no. Ci potrebbe essere ma questo è un anniversario, una festa. C’è anche da dire che la sensazione che Fabrizio sia scomparso non c’è. Senti la sua presenza e quanto sia contemporaneo. I suoi testi appassionano ancora oggi. Mi stupisce anche adesso pensare che nessuno credesse in quel progetto, molti lo consideravano eretico, un’operazione impossibile ed azzardata, destinata al fallimento. La storia infine ci ha dato e ci dà ragione. Proprio il fatto che tutti dicessero che fosse impossibile ha spinto Fabrizio a farlo, anche se pure lui all’inizio era scettico.
C’è un po’ di commozione?
Dopo tante volte che suoniamo queste canzoni il brivido c’è ancora, ma è minore. Però l’esecuzione di “Marinella” con la voce di Fabrizio registrata è un momento forte. Anche se lo facciamo sempre è un’emozione che arriva ogni volta. Il palco è buio, c’è solo una luce bianca che illumina il microfono mentre Fabrizio canta. Alla fine noi diciamo “Avete sentito bene eravamo in 8 su questo palco”. Anche per noi dal punto di vista emozionale è il momento più forte e molti del pubblico hanno confessato di aver pianto.
Nella vostra storia avete avuto tante “vite”. Dov’è la PFM adesso?
Siamo in una tappa di questa lunghissima vita. Non so come sarà la prossima. Facciamo sempre ciò che vogliamo in qualsiasi momento. Non pensiamo a quelli che possono essere i risultati. In America a metà anni 70 vedevano in noi una grande speranza rock, e noi abbiamo fatto un disco di jazz perché lo volevamo fare, ispirati dalla frequentazione di artisti jazz che ci hanno influenzato. Secondo molti ci siamo segati le gambe, ma a ripensarci siamo ancora qua. Abbiamo grandi soddisfazioni ancora adesso. Il successo non si quantifica in termini economici ma in soddisfazione. In questo momento siamo un gruppo fortissimo. Marco Sfogli, che ora ci accompagna, è uno dei migliori chitarristi; intendo uno dei primi 3 o 4 al mondo. C’è molto rigore e stiamo attenti a quello che facciamo e creiamo una bella massa sonora.
Quale è l’evoluzione della PFM?
C’è un filo che unisce passato e presente. Ogni momento è figlio dello stato attuale delle cose e di ciò che abbiamo fatto prima. Con “Stati di Immaginazione” (disco e tour del 2016) abbiamo preso la libertà di fare solo strumentali, cose lontane dagli originali e dal nostro passato. Non abbiamo mai uno stile codificato o cristallizzato. Il tuo essere musicista dipende anche da tante piccole cose che ascolti, che ti ispirano e ti influenzano.
Avete sempre avuto la tendenza ad essere una live band.
Il live per noi è tutto. Abbiamo fatto circa 6000 concerti e c’erano periodi in cui ne facevamo più di adesso. Con l’età io e Franz (Di Cioccio) abbiamo meno energie e dai 250 concerti in un anno ora siamo intorno ai 120. Le due ore sul palco sono la cosa più facile. Quello che è difficile e “noioso” sono gli spostamenti, i viaggi soprattutto all’estero per le distanze maggiori.
Cosa significa stare sul palco?
Difficile dirlo. È una sensazione molto individuale. Fabrizio viveva l’attesa del palco in maniera ansiosa che poi una volta salito superava. Quando la PFM si diverte è un bel momento. Improvvisare è fondamentale, ci permette di non vivere i concerti nello stesso modo. Perché è la noia che ti uccide, quindi sul palco NON DEVI MAI ANNOIARTI. Questo “PFM Canta De André – Anniversary Tour” è un rischio perché non improvvisiamo, è un concerto rigoroso. A Milano abbiamo fatto sette date consecutive ed alla fine sembrava di andare in ufficio, di timbrare il cartellino. Allora inventiamo situazioni, cerchiamo di suonare in maniera diversa. Abbiamo la grande fortuna di non prendere i concerti solo come un lavoro ma di unirci la passione.
Quando sei sul palco “senti” il pubblico e ti regoli di conseguenza?
Verissimo. Dopo due minuti capisci com’è il pubblico. Lo percepisci subito, anche per questo non usiamo gli ear monitor, così da avere il “ritorno” della platea. Ci sono quelli educati, c’è il pubblico un po’ più “distaccato”, quello sbragato. Finisce comunque sempre nello stesso modo ed alla fine il pubblico partecipa in ogni caso. Reagisce più o meno velocemente, ma lo fa, in ogni parte del mondo dove abbiamo suonato. Il PUBBLICO È UN ELEMENTO DEL GRUPPO, FA PARTE DEL CONCERTO.
Tra tanti anni vi capiterà di pensare di dare l’addio al palco. È un momento che temi o no?
No, non mi spaventa. Sarà una cosa che quando faremo vuol dire che non potremo più salire sul palco… e allora sarà una liberazione. Lo stop arriverà per stanchezza fisica di questo tipo di vita. Vita che stiamo facendo da 50 anni.
Queste le prossime date del “PFM CANTA DE ANDRÉ – Anniversary” (organizzato da D&D concerti con il patrocinio morale della Fondazione Fabrizio De André):
20 febbraio MONTECATINI (Teatro Verdi);
21 febbraio PARMA (Teatro Regio);
24 febbraio BRESCIA (Gran Teatro Morato);
25 febbraio MILANO (Teatro dal Verme);
27 febbraio PADOVA (Gran Teatro Geox);
28 febbraio GROSSETO (Teatro Moderno),
29 febbraio ROMA (Auditorium della Conciliazione).
PFM CANTA DE ANDRÉ – Anniversary
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