THE ZEN CIRCUS: Crediamo nella liturgia live come momento fondante del rock (Intervista)
THE ZEN CIRCUS
L’ultima casa accogliente Tour
Al via da Livorno il 3 luglio 2021
La band ce lo racconta.
Intervista di: Luca Trambusti
Più di mille concerti alle spalle in oltre vent’anni di carriera è la grande esperienza degli The Zen Circus, coronata anche da 12 album in studio. Da lungo tempo la rock band pisana non saliva sul palco, non andava in giro in tour. Ora pare tutto riprendersi ed anche loro ritornano ad esibirsi, pur nel contesto attuale, di fronte al pubblico. C’è anche un nuovo disco, “L’ultima casa accogliente”, uscito lo scorso novembre 2020 da presentare.
A poche ore dal primo concerto a Livorno (sold out in un breve tempo di prevendita) degli The Zen Circus abbiamo parlato con “Ufo” (il bassista Massimiliano Schiavelli) per farci raccontare di questo tour che li vede in giro per l’estate con questo calendario:
03 Luglio Livorno – Straborgo c/o Piazza Mazzini *SOLD OUT
10 Luglio Torino – Flowers Festival
13 Luglio Bologna – Nova
14 Luglio Genova – Balena Festival
15 Luglio Gardone Riviera (BS) – Anfiteatro del Vittoriale *SOLD OUT
22 Luglio Pordenone – Pordenone Blues
25 Luglio Padova – Parco della Musica29 Luglio Verucchio (RN) – Verucchio Music Festival (set acustico speciale)
06 Agosto Bergamo – Bergamo1000
08 Settembre Roma – Auditorium Parco della Musica
10 Settembre Milano – Carroponte
11 Settembre Firenze – Ultravox Firenze / Anfiteatro delle Cascine Ernesto De Pascale
Ecco cosa ci ha raccontato.
Come gli The Zen Circus hanno vissuto l’assenza del palco?
È stata durissima. Abbiamo, come tanti, tentato di sopperire con eventi on line, che ci hanno anche divertito. Dopo un po’ però si è persa la lena, come per tutti. Adesso basta, bisogna tornare al pubblico in presenza. L’ultimo nostro concerto risale a Natale 2019 e non vediamo l’ora di riprendere. Personalmente non sono mai stato così tanto senza suonare, era dall’89 che non mi capitava. Ora sembra intravedersi la fine anche per tutta la nostra categoria che è stata castigata e spero riesca ad uscire dall’angolo
Pare dunque che si ricominci e voi ripartite in tour. Come vi sentite?
Contenti. Per una band come la nostra, con un’intensa vita live, questa ripartenza assume un significato maggiore. Inoltre, lo scorso novembre abbiamo fatto la follia di far uscire un disco, “L’ultima casa accogliente”, che non siamo ancora riusciti a presentare al pubblico. Tornando a fare i concerti ci sentiamo di concludere il discorso iniziato con il nuovo album. Un disco è una tappa intermedia, la polaroid di un momento, un incidente probatorio della musica, un accertamento unico e irripetibile. Poi noi dobbiamo venire nella tua piazza, crearti la canzone con le nostre mani lì e in quel momento e vedere la reazione. Con il palco ritroviamo una verità che per noi è irrinunciabile.
Le condizioni dei concerti estivi saranno particolari. Come vi adeguerete?
Rimane una vocazione ad alta energia, quella chitarristica, ovvero il nostro solito approccio. Certo la diversa situazione, quella dell’essere seduto, impone una maggior attenzione all’ascolto. Alla fine, sarà un’ottica vincente e non estraniante. Pensa a quanti storici concerti rock ci sono stati nei teatri! La musica può essere anche ascolto, concentrarsi sui testi e altre cose che in condizioni standard si notano meno. Di sicuro saremo all’altezza della nostra fama e non sarà di certo un recital. Date le circostanze aspettiamo tempi migliori per le nostre liturgie pagane, quelle che il rock richiede.
Alla luce dei vostri 12 album come componete la scaletta?
Non svelo nulla, però è stilata con difficoltà e con un lavoro di distillazione per non deludere nessuno. Tale e tanta è l’urgenza di presentare il nuovo disco e così “L’ultima casa accogliente” avrà molto spazio. Però non possiamo non portare, come si diceva una volta, i successi “di ieri, oggi e domani”. In generale sarà molto altalenante, ma divertente e accontenterà tutti. Sarà “democristiana”, fatta, con il manuale Cencelli, da Karim Qqru (il batterista) che è il signore delle scalette (ride).
Nel vostro tour ci sono alcuni sold out, a partire dalla prima data di Livorno. Anche con le capienze ridotte non è scontato riempire. Cos’è cambiato dopo la pandemia?
Ovviamente i sold out non sono sicuri. Perciò siamo soddisfatti che i biglietti stiano volando, forse è dovuto anche alla realtà del nostro pubblico, che ci segue a prescindere. Non siamo un gruppo di “moda” e questo ci rende sereni. Pre covid c’era un senso di psicosi intorno ai live, una bolla concertistica. La contingenza ha sparigliato le carte, non ci sono macro eventi e occorre capire come tutto verrà rimodulato. Di sicuro questa nuova situazione è ottima per la musica italiana
Oltre ai sold out ci sono nuove location per voi. Quali vi attraggono?
Sì, siamo curiosi di vedere e suonare in luoghi nuovi, posti dove i concerti arrivano per la prima volta. La data all’Anfiteatro del Vittoriale ci incuriosisce più di tutte (sold out). Pare sia un posto magico, vogliamo vederlo di persona, ci dà un’idea molto anni ’70. Potrebbe essere il nostro piccolo “live at Pompei” (Ride facendo riferimento all’esibizione dei Pink Floyd nel sito archeologico). Certo sarà anche un grande piacere tornare al Carroponte altro posto bellissimo dove siamo stati già diverse volte.
Tra un live estivo ed uno nei club c’è molta differenza?
Sono due piani diversi, ma due facce della stessa medaglia. L’estate fa più pensare a qualcosa di fricchettone. Vengono in mente anche qui i grandi raduni della storia rock. All’aperto c’è un altro afflato. Nei club tutto è più compatto, duro, tosto, più “pestone” e con una maggior pressione sonora. Quella dei live nei club è un’esperienza particolare. Ricordo date al limite della sopportabilità fisica, ma belle esperienze. Ricordo una serata a Roma in un locale con il soffitto così basso che per il caldo abbiamo rischiato lo svenimento noi e il pubblico, o la bolgia all’Urban di Perugia. Sono momenti che ci piacciono e attizziamo.
Considerando la vostra lunga esperienza di palco qual è il significato di un live?
È la festa di compleanno di ogni singola persona del pubblico ma anche nostra. Ci piacciono le dinamiche che si creano intorno al concerto: amicizia, complicità comunanza. Siamo una band sociale e non social. Crediamo nella liturgia live come momento fondante del rock, con gente che si aggrega per qualcosa di comune.
Quando un concerto è riuscito e ne siete soddisfatti?
Quando si suona bene e non si rompe o non spacchiamo nulla (Ride). Già arrivare verso la fine con gli strumenti e noi interi è un successo. L’importante è creare empatia con il pubblico, che devo dire scatta spesso e ci piace la reazione. È bello non solo per noi ma anche per lo spettatore. Può però succedere che si stacchi una “malaonda”, un qualcosa di negativo che scatta e fa precipitare tutto. È capitato, anche se poche volte. Sono quelle scintille incomprensibili che rompono la connessione tra pubblico e musicisti. Si può anche sentire male, sul palco e fuori, ma non può mai venire meno l’empatia. In sintesi: un live funziona quando c’è empatia.
E tu sul palco come ti senti?
Come uno che ci abita. Mi piace essere lì, ne conosco difetti e limiti. Il palco mi fa stare bene. Sul palco è come essere al bar, dopo 1000 concerti diventa il giardino di casa. Il lavoro in studio mi piace, però deve avere una fine che passa proprio per il palco.
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