NICCOLÒ FABI: Il mio concerto è un’isola felice (Intervista).
NICCOLÒ FABI
TOUR ESTATE 2021
Un concentrato di emozioni
Intervista di Luca Trambusti
Come tanti anche Niccolò Fabi la scorsa, maledetta, estate ha dovuto rinunciare ai tanti impegni live in cartellone. Oggi, in una situazione in miglioramento e con maggior fiducia nel futuro, i luoghi di concerto all’aperto si sono riaperti dando modo a molti artisti di ritornare sul palco e al pubblico di riempire (con moderazione e giuste precauzioni) le platee.
Ovviamente anche Niccolò ha sfruttato l’occasione ed i concerti programmati nello scorso 2020 sono stati riproposti con un anno di ritardo (a parte Napoli) Vedi qui il nuovo calendario del tour
Così dal 24 giugno, con un doppio appuntamento romano, Fabi ha richiamato musicisti e tecnici partendo per un lungo tour che lo sta portando in giro per tutta Italia e che si concluderà a Campitello di Fassa (Tn) in quota al (bellissimo) Rifugio Micheluzzi.
Quello che il cantautore romano propone è un concerto di profonda intensità e grande eleganza che coinvolge e appassiona il pubblico.Non mancano momenti di leggerezza e un’elevata qualità musicale grazie agli ottimi musicisti di cui Niccolò si circonda. Oltre ai cantautori Roberto Angelini, Pier Cortese e Alberto Bianco, Fabi si accompagna con Filippo Cornaglia alla batteria e Daniele “Mr Coffee” Rossi alle tastiere.
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Ci siamo addentrati in questo concerto guidati dalle parole e dal racconto di Niccolò Fabi.
Come stai vivendo questo tour?
Benissimo! Sia dal punto di vista personale che lavorativo. Da qualche tempo ho una condizione ideale, un rapporto familiare e amichevole con una carovana fatta di 14/15 persone che si supportano e suonano insieme. I tecnici sono parte integrante di questa famiglia. È bello viaggiare ed emozionarsi insieme, vedere posti sempre più belli con un pubblico amorevole e affezionato. Pare quasi un mondo ideale con l’umanità che abbassa le difese durante il concerto e sembra una società migliore di ciò che vediamo ogni giorno. È una ricarica personale e professionale anche se fuori da logiche di mercato e visibilità.
Non era un rientro così scontato.
No, non lo era e non lo è. Tutti i colleghi sono “in pista”. È una stagione difficile con concerti più cari per recuperare qualcosa a fronte di costi maggiori e un’organizzazione più difficile. Temevo che le persone fossero scoraggiate, però evidentemente tornare ai concerti per alcuni diviene un bene primario. Ma non tutti possono permetterselo.
Che tipo di concerto proponi?
Per certi versi il solito. Per l’estate c’è un cambio di elementi scenografici, quindi una diversa estetica dettata anche da contesti spesso meravigliosi dal punto di vista architettonico o naturale che meritano di non essere rovinati. Ciò che resta è il racconto di un’emozione anche con altro linguaggio. È questo ciò che il pubblico desidera ascoltare: un linguaggio più che una storia. Le mie performance creano lo stesso percorso emotivo. Non si richiede l’attenzione sul cantante, che resta quasi defilato, ma sugli stati emotivi, commoventi e forti. Spesso mi sento dire: “Come mi fai piangere tu non lo fa nessuno”, ma è detto con un sorrisone. La realtà dopo un mio concerto pare più sopportabile, perché sei andato in una camera oscura, hai aperto qualche cassetto chiuso. È una psicoterapia di gruppo, è sentirsi parte di una umanità.
E tu sul palco come ti senti?
Molto fragile, scoperto dal punto di vista emotivo, anche se sono più sicuro e orgoglioso di me rispetto al passato, Credo di essere migliorato negli anni e di vestire con maggior sicurezza la posizione di cantante. Resta sempre un momento di fragilità emotiva perché ho canzoni che vengono suonate immergendosi nella loro atmosfera e non posso non pensare a ciò che dico. Sono fortemente legate a stati emotivi e non riesco ad estraniarmi. A volte è un “viaggio”, un “trip” emotivo… senza però l’uso di sostanze psicotrope (ride).
Ci saranno delle canzoni più facili da cantare ed altre più difficili. Quali sono?
La più facile è sicuramente “Lasciarsi un giorno a Roma”, l’ultima in scaletta. È la liberazione emotiva collettiva, con la gente che si alza in piedi ed è l’unica canzone che si può cantare urlando insieme. Per me è un momento sereno, è il viaggio concluso, la barca è arrivata in porto e ha retto durante l’uragano. Le canzoni difficili cambiano, ma di solito sono quelle due o tre più delicate. Sicuramente “Elementare” che è per me come camminare su un cornicione e poi “Ecco”. Queste sono le canzoni scivolose.
Che tipo di scelte sonore hai fatto?
Con la band siamo molto compatti, affiatati e creiamo un suono molto rarefatto, ipnotico con tanti “delay” che danno profondità. È un suono di ispirazione folk americano o del Nord Europa, con la libertà di andare oltre il canone del bel pop; di canzoni con ritornello ce ne sono poche. In scaletta poi cedo la palla ai miei tre musicisti, che sono anche cantautori, Bianco, Cortese e Angelini e alle loro canzoni, così io mi defilo ancor più dal centro della scena.
Che idea hai del pubblico di Niccolò Fabi?
Penso che sia quello che ogni cantante vorrebbe avere, anche in queste situazioni di pandemia quando tutti siamo sottoposti a stress. Devo dire che nonostante i disagi hanno risposto con entusiasmo. C’è una platea transgenerazionale con grande sensibilità, Il cuore pulsante sono i 30/40enni ma con punte in alto e in basso. È un pubblico educato attento e che non crea problemi, me lo dicono sempre anche gli organizzatori. Un pubblico amoroso e commovente nella partecipazione. Sono un cuscinetto con la realtà che a volte non è proprio così, come il mio pubblico. Mi capita, quando non sono sul palco, al di fuori dei concerti, di pensare che meriteremmo l’estinzione..
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