MATTEO MANCUSO: una chitarra d’autore (Recensione concerto)
MATTEO MANCUSO TRIO
07 maggio 2022
Blue Note
Milano
Recensione di Luca Trambusti
Voto: 7
Dopo Roma (Auditorium Parco della Musica ) e Firenze (Jazz Club Firenze) il giovane chitarrista siciliano Matteo Mancuso arriva al Blue Note di Milano. Al prestigioso locale milanese il 26enne musicista entra di prepotenza (sold out lo spettacolo delle 23,00, ben pieno quello delle 20,30) preceduto dall’apprezzamento di mostri sacri della chitarra.
“Un talento assoluto: ci vorrebbero due o tre vite per imparare anche per uno come me a improvvisare così bene alla chitarra come Matteo Mancuso”.
(Al Di Meola)
“L’evoluzione della chitarra è al sicuro nelle mani di musicisti come lui che rappresentano un nuovo livello per il tono, per la precisione nel tocco e la scelta delle note”.
(Steve Vai)
“Il musicista più incredibile che io abbia visto dall’epoca di Stanley Jordan. Come Marcus King ha completamente reinventato lo strumento della chitarra dal punto di vista tecnico”.
(Joe Bonamassa)
“C’è questo ragazzo italiano su Internet, Matteo Mancuso. Ha 20 anni o qualcosa del genere. Suona in stile quasi flamenco. È un virtuoso oltre i virtuosi”.
(Tosin Abasi)
Endorsement non da poco.
Prima di parlare del suo live occorre raccontare come questo fenomeno (da Casteldaccia – Palermo) sia arrivato a raccogliere tali parole di consenso. “Nel 2008 – spiega – ho iniziato a postare dei brevi video su You Tube, fatti anche male. Poi durante la pandemia sono stato nominato in alcune dirette da Steve Vai e Joe Bonamassa e da lì tutto è cresciuto velocemente. Non ero – confessa – un grande frequentatore di social ma sicuramente per un artista non esserci significa perdere una grande opportunità.” E lui l’opportunità della rete l’ha colta e sfruttata al meglio. “Ora sono su YT (con un mio canale), Facebook e Instagram. Mi manca solo Tik Tok.”
Anche la sua tecnica è particolare: suona infatti senza l’uso del plettro, con le sole dita della mano destra (come si trattasse di un continuo arpeggio). Ma quello che esce dalla sua sei corde è un suono pulito, giusto, mentre la mano sinistra corre veloce quanto precisa sul manico. Anche le scelte sonore, gli effetti, sono delicati, calibrati e in poche occasioni (almeno in quanto sentito live) si arriva ad una “moderata” distorsione del suono.
Il Mancuso Trio (Matteo alla chitarra, Stefano India al basso e Giuseppe Bruno alla batteria) dal palco del Blue Note ha regalato un’ora di show (il primo dei due in programma la sera) in cui Matteo (ben supportato dai suoi “soci” con cui suona dal 2020) ha messo in mostra tutta la sua bravura e abilità tecnica muovendosi tra stili differenti: rock, fusion e blues elettrico. Ha presentato cover a lui vicine ma anche i brani originali e inediti del prossimo disco di debutto che uscirà entro la fine del 2022.
“Tra i miei chitarristi di riferimento – dice Matteo – Allan Holdsworth è il favorito insieme a Eric Johnson e Frank Gambale.” Decisamente modelli importanti a cui poi aggiunge i Weather Report in ambito prettamente jazz rock. Aggiungendo alcuni grandi chitarristi del rock sono questi i paletti entro cui si muove il giovane siciliano mostrando oltre che abilità tecnica anche una certa varietà compositiva. La sua scrittura infatti è assai composita e nei brani, spesso dilatati e sempre immancabilmente segnati da uno o più assoli, si trovano continui cambi stilistici e/o ritmici. Si spazia dal progressive (per certi arpeggi e “dialoghi” con il basso) al rock, arrivando al blues e passando per il jazz. C’è dunque una forte esibizione tecnica, accompagnata da una evidente padronanza musicale. Anche le cover sono rilette alla luce del suo tecnicismo chitarristico.
Il trio poi mette in scena il perfetto schema di questo stile musicale (di chiara matrice jazz), cioè ogni strumentista, per l’esaltazione stilistica e l’ego personale, si prende i suoi spazi con assoli più o meno “solitari”. In più i tre sul palco sembrano divertirsi e anche la giovane età e il prestigio del luogo non sembra intimorirli.
È proprio la varietà e l’abilità nel muoversi tra i generi che impediscono a Matteo di dilungarsi troppo nei virtuosismi rendendo così il suo live abbordabile da un ampio pubblico e non solo dai cultori dello strumento. Un concerto che diventa fruibile anche a chi non può o vuole apprezzare ed analizzare ogni singolo passaggio tecnico. In particolare il jazz rock e/o fusion chiamano e vivono sul tecnicismo, ma è il giusto bilanciamento tra abilità e calore a fare la differenza. E Matteo sembra essere sulla buona strada.
Giovane (ma non un bambino), promettente e appassionato anche se il suo genere in Italia ha poco spazio. Da ascoltare e apprezzare.
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