STUNT PILOTS: l’aereo non decolla (Recensione e scaletta concerto)
STUNT PILOTS
26 gennaio 2024
Santeria
Milano
Recensione: Luca Trambusti
Voto: 5
L’occasione era assai interessante. Gli STUNT PILOTS, dopo il riscontro dell’ultima edizione di Xfactor (arrivati in finale), uscivano dal tubo catodico ed entravano nella realtà. Lo facevano con le migliori premesse: due concerti uno a Milano e uno a Roma, entrambi “sold out” con quello di Milano raddoppiato.
La coda fuori dalla Santeria è incredibilmente lunga, mai vista o successa. Il guardaroba – questa la motivazione – non riesce a smaltire il lavoro. Il che fa supporre una sala imballata all’inverosimile, in realtà dentro si può stare comodi.
Quando gli Stunt Pilots salgono in scena c’è un urlo del pubblico e una corsa verso il palco ma soprattutto una selva di telefonini che accoglie l’entrata in scena. L’entusiasmo è alto ma c’è la netta percezione che il pubblico sia di chiaro orientamento televisivo con giovanili scene di quasi isteria.
All’inizio del concerto il suono è sbilanciato, la batteria copre ogni cosa, la voce non è chiara, la chitarra non si sente. Vabbè, uno pensa, succede sempre sul primo pezzo. È storica la frase dei fonici dopo ore di soundcheck: “ma poi con il pubblico cambia tutto”. Purtroppo però non cambierà nulla. Questo sarà il tipo di fonia che accompagna tutto il concerto, tanto che si può pensare che non sia un problema di mix a cui si sono improvvisamente rotti dei transistor, ma una precisa scelta produttiva, una volontà stilistica.
Il pubblico però si appassiona, si scatena sentendo uno stile che richiama il pop punk (più pop che punk), con una batteria grossa e francamente sopra le righe. A un certo punto sale anche sul palco un rapper (americano?) con cui gli Stunt Pilots suonano qualche brano.
Tutto è confuso, poco organico, sembra una band di liceali, felici come degli adolescenti ai primi concerti tra amici. Sul palco e tra il pubblico girano cameramen che riprendono ogni singola mossa dei tre.
Manca la sostanza, manca l’esperienza, manca una chiara linea. C’è solo tanta confusione stilistica ed organizzativa. Quello che non manca è l’entusiasmo che forse porta anche un po’ di voglia di strafare, di eccesso di autostima.
Non manca qualche episodio piacevole: “Imma stunt” (l’inedito di Xfactor) è carina, la cosa migliore sentita, con il suo carico di energia, Mo (il cantante chitarrista) corre salta sul palco come un posseduto, assecondando e assecondato da un buon pop punk. Ma è un lampo e comunque è tutta su basi, con una batteria fracassona e qualche altro suono sotto.
Interessante anche “No Thottie”, altro brano che porta la loro firma, che ancora una volta colpisce per la sua energia, l’immediatezza e il ritmo con un basso slappato, sporco di funk. Ma nell’insieme resta confusa.
Per l’occasione i tre presentano anche altri due inediti: “Popstar, rockstar, trapstar” (divertente l’idea della “trapstar”) che, dicono, risale a qualche anno fa e la conclusiva (prima dei bis) “Sell out” chiusa da un assolo di chitarra.
Passare dalle scintillanti luci dello stage di Xfactor alla sudata realtà di un palco “puro” non è facile. E se lo fai devi avere coscienza e consapevolezza di ciò che fai. Qui c’è ancora tanto da lavorare. Il progetto, se deve continuare, va ricentrato e messo a fuoco.
Azzeccata l’idea della scaletta che ha una bella veste grafica e una curiosa divisione delle parti del concerto. Sembra però già una cosa destinata ai collezionisti.
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