SUZANNE VEGA: non graffia ma accarezza. Recensione concerto live Milano
SUZANNE VEGA
10 Luglio 2018
Auditorium Fondazione Cariplo
Milano
Voto: 7
di Luca Trambusti
La classe non è acqua, può sembrare una banalità ma Suzanne Vega lo dimostra in questo concerto ed in generale con la sua musica.
Nota al grande pubblico per un disco di successo (“Solitude Standing” pubblicato nel 1987 il secondo della sua discografia) la Vega ha avuto un andamento artistico e commerciale molto “ondivago”. Sebbene lontana dalla grande visibilità mediatica il suo è uno di quei nomi che suscita sempre interesse.
Da Milano (alla vigilia del suo compleanno) è partito il minitour italiano di 6 date che, inserito in un tour mondiale, la porterà in giro per il nostro paese. Sul palco una formazione essenziale, infatti insieme alla Vega (voce e chitarra) troviamo solo il chitarrista (elettrico ed acustico) Gerry Leonard, già collaboratore di David Bowie, Dal palco, con la postazione non centrale ma insolitamente spostata sulla sinistra, la cantautrice americana ripercorre la sua storia musicale puntando sui vecchi brani perché, per sua stessa ammissione, il pubblico li conosce meglio e paga il biglietto per quelli.
Ovviamente, vista la formazione, gli arrangiamenti sono minimali, essenziali ed i suoni sono assai delicati ed intensi. Nel concerto abbandona completamente la sua anima pop per dedicarsi esclusivamente a quella folk e puntando molto sulla ricerca dell’atmosfera. Il tutto genera un complesso sonoro e spettacolare asciutto, minimale e di grande classe.
Su tutto la voce della Vega che resta ancora di ottima qualità e che catalizza l’attenzione un po’ come la sua figura, minuta ma carismatica, con un vestito semplice (rigorosamente nero come dice e canta in una sua canzone). L’unica trovata scenica e “spettacolare” è un cappello a cilindro che la cantante indossa in un paio di occasioni.
L’essenzialità degli arrangiamenti porta anche alla sovrapposizione delle canzoni che diventano delle ballate folk a grande predominanza testuale, impreziosite dall’interpretazione ma “appiattite” nella struttura musicale. Sono brani molto verbosi, tipici di questo stile e di questa scelta di arrangiamento. Suzanne le arricchisce introducendone molte con piccole storie, a volte divertenti, raccontando di quando ha conosciuto Bono e di come questo ha reagito al loro secondo incontro quando lei le ha fatto sentire un suo brano, narrando di come Robert Smith dei Cure l’abbia voluta sul palco del Meltdown Festival. Oppure spiegando come “Horizon (There Is a Road)” sia stata scritta dopo la morte di Vaclav Havel (primo Presidente della Repubblica Ceca post “URSS”), uno che ha governato con la parola “love”, proprio come, ironizza, il presidente che è stato eletto due anni fa in America riferendosi a Trump.
Ci sono poi alcuni momenti, verso il finale del concerto, in cui la Vega “spinge sull’acceleratore” dando ritmo ed energia alla sua performance e sono i momenti in cui il pubblico è maggiormente coinvolto e tutta l’atmosfera cambia, pur sempre restando in un ambito di classe ed eleganza. La prima parte del concerto si conclude con due classiche ed immancabili hit entrambe estratte da “Solitude Standing: “Luka” (storia immaginaria di un bimbo abusato) e “Tom’s Dinner” (brano che per le sue dinamiche vocali è stato ispiratore e test dell’algoritmo di compressione Mp3). Quest’ultima viene proposta in una versione movimentata, con tanto di “passeggiata” sul palco della Vega, battito di mani e coinvolgimento del pubblico che ha sempre apprezzato il concerto e le esecuzioni.
C’è spazio per i bis. Tre brani canonici e poi i saluti. Ma il pubblico la reclama ancora e dopo poco la Vega non si tira indietro e riappare sul palco per due generosi ulteriori extra bis (“Calypso” e “Rosemary”). Felice, soddisfatta la Vega saluta ed il pubblico si alza in piedi per una standing ovation.
Suzanne Vega. Alla fine vince lei.