OMAR PEDRINI: il “Viaggio Senza Vento” diventa un viaggio senza tempo. Recensione
OMAR PEDRINI recensione Milano
VIAGGIO SENZA VENTO
2 Dicembre 2019
Fabrique
Milano
Voto: 7
Di Luca Trambusti
LEGGI QUI RECENSIONE CONCERTO 2017
OMAR PEDRINI recensione Milano
Chiude a Milano il tour (erano 8 date poi son diventate 48) con cui Omar Pedrini ha riproposto “Viaggio Senza Vento”, il fortunato ed importante disco che i Timoria realizzarono nel 1993. Fu un album importante, per la band e per il mondo del rock nazionale. Si trattava di un “concept album” che ruotava intorno alla figura di Joe, alle sue (dis)avventure e soprattutto il suo viaggio interiore alla ricerca di una migliore esistenza.
Gli amici sul palco
Oggi, a distanza di 26 anni, il leader della band lo ripropone a Milano in chiusura del tour in una chiave “festaiola”, chiamando sul palco una serie di amici (come Omar fa spesso), alcuni dei quali presenti già nell’opera originale, ed una sorpresa. La scaletta del concerto prevede la riproposizione quasi integrale del disco a cui si aggiungono un paio di tracce extra ed una (classica) cover.
Impatto potente
L’impatto è potente, la musica è quasi atipica, segnata dall’impronta di un corposo rock chitarristico, con lunghi assoli che ormai capita sempre più raramente di sentire. Ci si muove tra le linee melodiche ed il rock. A supporto delle chitarre arrivano le tastiere che spesso riconducono ad un progressive di metà anni ’70. Nonostante gli anni in generale la riproposizone di quel disco è ancora oggi attuale, fresca. Certo il pubblico a cui ci si rivolge è quello che quel disco l’ha vissuto, consumato. Pubblico che è lì per partecipare, cantare e rivivere quelle atmosfere. La nostalgia fa solo capolino, perché completamente diverse sono le dinamiche di palco e la storia è passata, cambiata. Eppure quel disco ha ancora oggi un suo perché, soprattutto nell’energica versione che Omar ha portato in scena in questo tour.
Note alla scaletta:
“Sangue impazzito” è andato in chiusura (al posto di “senza Vento”) con Sarcina e Deidda insieme (+ Enrico Ghedi), “Angel” e “Musica Ribelle” non eseguite. Mauro Pagani anche su “Verso Oriente” con Eugenio Finardi
Gli ospiti
Superflui sono invece gli inserimenti degli ospiti. Il primo a salire sul palco è, cambiando l’ordine della scaletta consegnata, Ensi. Il rapper amplifica ed allunga la parte rap che nell’originale fu del bassista Illorca (Carlo Alberto Pellegrini). Ensi porta sul palco la sua comunicativa, i suoi canoni di confronto con il pubblico che però non è il suo pubblico e che ha un approccio molto diverso dal “facciamo casino per Omar Pedrini” o il classicissimo “su quelle cazzo di mani per Omar” e via dicendo. Quindi la risposta è molto fredda, quasi sconcertata. Ensi, fa il suo, ci mette del suo ma non riesce ad andare oltre la “comparsata”. Arrivano poi sul palco i pezzi da 90: prima Mauro Pagani al violino su “Lombardia” come da originale e poi (insieme) Eugenio Finardi per “Verso Oriente”. Sebbene gli applausi siano numerosi e sentiti i due artisti non riescono a dare una performance degna del loro livello (Finardi anche per problemi di audio) e tutto si limita lì. Improponibile invece l’inno all’amicizia “Freedom” in esecuzione corale con alcuni membri delle differenti e numerose cover band dei Timoria.
Monologhi e sorpresa finale
Ci sono poi tre “monologhi”: uno di Matteo Guarnaccia (disegnatore, pittore, saggista, studioso degli anni ’60), uno di Nicolai Lilin (famoso tatuatore e scrittore russo) e l’ultimo dello scrittore Federico Scarioni che anticipa “Sole Spento” raccontandone la vera storia.
Il meglio delle ospitate arriva con la chiusura: la rilettura di “Sangue Impazzito” (in origine prevista ad inizio scaletta) con Le Vibrazioni Francesco Sarcina, alla voce, e Alessandro Deidda alla batteria. A loro si aggiunge a sorpresa anche Enrico Ghedi, il tastierista dei Timoria (ma non è la prima volta che i due risalgono insieme sul palco). Per introdurre gli ospiti Omar racconta il divertente aneddoto dell’incontro tra i “mitici” Timoria ed i giovanissimi “Le Vibrazioni”.
In scaletta c’è spazio per l’inno “Hey Hey, My My” di Neil Young, una dichiarazione d’amore corale verso il rock che mai potrà morire. Si aggiunge poi un brano del repertorio solistico del musicista bresciano.
Tra le cose migliori “Lasciami in Down”, “Frankenstein”, “Piove”, e (extra Viaggio Senza Vento”) “Sole Spento”.
Un viaggio senza tempo
In sostanza il concerto è un “viaggio senza tempo”, un appuntamento con il passato che torna e che si ricorda volentieri. È la rilettura di un album importante. Un’operazione non pedissequa ma attualizzata, fatta con il cuore e con la testa al presente. Pedrini ci mette tanta passione e tanto entusiasmo e riesce a coinvolgere il pubblico, che certo è tutto dalla sua parte. Tra chitarre suonate forti, segni di Om/Bambulè ed una certa impronta orientale Pedrini porta a casa la parte musicale con ottimo riscontro. Non vincente quasi superflua invece la scelta di aggiungere degli amici. A volte deve essere solo al musica a “parlare”. L’atmosfera da festa sarebbe rimasta la stessa, immutata come la qualità artistica ed emotiva dell’evento.