I HATE MY VILLAGE: la conferma che il rock in Italia ha una sua vita. Recensione
I HATE MY VILLAGE Live
27 Febbraio 2019
Santeria Social Club
Milano
Voto: 8,5
Di Luca Trambusti
VEDI QUI PHOTOGALLERY DI HELGA BERNARDINI
I HATE MY VILLAGE Live
C’erano una volta i “supergruppi”, quelli formati da musicisti provenienti da altre formazioni che si riunivano per un progetto. C’erano e ci sono ancora. Gli I Hate My Village (certo un nome bizzarro) sono proprio questo: un supergruppo del rock nazionale e sono formati da Fabio Rondanini, batterista che presta le sue ritmiche a Afterhours in primis e Calibro 35, Adriano Viterbini, il chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion e l’altro chitarrista e cantante Alberto Ferrari dei Verdena. A dirigere tutto il lavoro di studio Marco Fasolo dei Jennifer Gentle che ha prodotto il primo, omonimo ed interessantissimo album della band (e che live suona il basso).
Ovviamente dopo il disco c’è lo spazio per il live, un ambito che i tre frequentano molto bene e caposaldo della loro attività musicale. Così, caricato un furgone, si parte per presentare al pubblico la propria produzione. Ed il pubblico reagisce bene. Il concerto di Milano, una delle ultime tappe del tour, vede una Santeria ben piena di gente, con una platea (non capita sempre) coinvolta, appassionata ed attenta a ciò che sta andando in scena.
Un concerto rock
Ma cosa va in scena? Un concerto rock, robusto, con un suono chitarristico compatto e potente. Uno show che ti porta ai limiti della psichedelia su cui soffia (meno di quanto si sente su disco) un vento africano che scalda ancora di più il risultato finale. La tendenza ed il limite dei supergruppi è quella del tecnicismo, della freddezza. Tutto questo con gli I Hate My Village (IHMV) è lontanissimo; certo gli assoli dei due chitarristi ed il treno ritmico di Rondanini (uno dei migliori batteristi italiani, forse il migliore) sono impressionanti, perfetti ma sono calati in un contesto di energia e calore che li fa sembrare “ordinari”, normale amministrazione.
Un treno sonoro
Il concerto si apre con il chiocciare di galline, in attesa che la band salga sul palco. Quando i 4 hanno preso posto parte un treno sonoro che subito travolge l’ascoltatore. Viterbini e Ferrari si confermano virtuosi a modo loro dello strumento, con riff ineccepibili e scelte sonore originali. In poche occasioni i brani hanno anche un testo, cantato da Ferrari usando sempre un filtro vocale così da far diventare strumento anche la voce. Su queste “fughe” chitarristiche, peraltro varie e mai ripetitive, s’innesta una parte percussiva incredibile. Le ritmiche che “disegna” Rondanini sono incredibili, sempre molto fluide, creative ed energiche allo stesso tempo ed oltretutto realizzate con una strumentazione essenziale. A completare e “riempire” la sezione ritmica il basso di Marco Fasolo.
Psichedelia e rock
Il risultato è una musica psichedelica, che mischia differenti suggestioni con risultato fresco, moderno ed originale; forse la cosa più simile sono certi momenti dei Bud Spencer Blues Explosion o, ancora più in là nel tempo, le aperture musicali dei ’70. Ma sono richiami, perché lo stile degli IHMV è veramente particolare ed unico (soprattutto nel panorama nazionale).
Un colpo da ko
Il pubblico reagisce bene anche perché sebbene la musica sia potente non è mai così travolgente da colpire con un ko, le strutture dei brani hanno andamenti sinuosi e quindi ci sono anche “momenti” di riposo. Quando poi le ritmiche ed il complesso sonoro diventano fluidi allora è impossibile non lasciarsi trascinare e seguire con il movimento della testa l’andamento musicale.
Rock e chill out
Sempre a proposito di strutture c’è da notare due cose: il concerto parte con una sferzata di energia e potenza sonora che nella parte centrale si trasforma in qualcosa di meno furente, una sorta di chill out prima di riprendere sferragliante nel finale. Infine le durate dei brani non sono mai eccessivamente dilatate ed anche questo è un segno di grande onestà. Il concerto infatti dura poco più di un’ora: è ovvio c’è solo un disco da presentare (si aggiunge solo, come primo bis, la cover di “Don’t Stop ‘Til You Get Enough” di Michael Jackson).
Correttezza ed onestà
Quindi i tre avrebbero potuto “allungare il brodo” dilatando le canzoni stesse, infarcendole di ulteriori riff di chitarra, sfilacciando però la vera natura della loro musica. Allo stesso tempo avrebbero potuto riempire di cover l’esibizione, dandone (come dimostrano nell’unico episodio che fanno) una versione particolare e sicuramente accattivante. Non fanno tutto questo, si presentano al pubblico in estrema semplicità, reali e concreti. Questa si chiama correttezza ed onestà verso il proprio pubblico.
Il rock in Italia esiste
Gli I Hate My Village sono la conferma che il rock in Italia ha una sua vita, un suo percorso, una sua dignità e classe e conforta il fatto che ci sia anche una presa sul pubblico e non si arrocchi solo in una nicchia estrema.
Bravi loro, se siete “rocker inside” non fateveli assolutamente scappare.