RAPHAEL GUALAZZI: le cover jazz, swing e blues sono la sua forza (Recensione concerto)
RAPHAEL GUALAZZI
MONFORTINJAZZ
25 luglio 2021
Auditorium Horszowski
Monforte d’Alba (CN)
Testo e foto di Giorgio Zito
Voto: 7
Per l’ultimo appuntamento con la 45^ edizione di Monfortinjazz, arriva all’Auditorium Horszowski di Monforte Raphael Gualazzi, con un concerto in solitaria, accompagnato dal solo pianoforte. Un tour particolare, certamente più intimo, che dà modo al musicista di raccontare il proprio percorso artistico. Come brano d’apertura sceglie una canzone che illustra molto bene lo spirito della serata, “A Simple Song”: ottima interpretazione e gran voce, per questo swing con cui strappa subito l’applauso (A simple song For simple minds / Why shouldn’t it make Us feel So satisfied / So Babe Let’s play a little bit of music tonight).
La sua storia
La prima parte della serata è presentata come un racconto dei suoi primi passi nel mondo della musica, e della sua evoluzione artistica, a partire dal suo innamoramento per lo stile “stride piano”, quello di artisti quali Thomas Fats Waller agli inizi del 900, e da bricoleur quale si definisce propone un brano in tema, un altro swing carico di energia. Racconta poi che a 20 anni ha iniziato ad appassionarsi allo swing jazz strumentale, e solo su suggerimento del padre prova in seguito anche a cantare. Così nasce “Crazy Rag Blues”, un brano immerso nelle atmosfere blues di New Orleans, in cui il musicista dà prova di non difettare di grande tecnica e velocità di esecuzione. Il padre, a suo tempo musicista nella prima band di Ivan Graziani, però non si accontenta, e prova a dare un altro consiglio, cantare in italiano: “Calda estate”, tratta dal terzo disco, è il tentativo di Raphael Gualazzi, certamente riuscito, di coniugare le sue passioni musicali con il nostro idioma. Con il canto in italiano si aprono nuove porte, e su consiglio questa volta di un amico, provare a scrivere un brano radiofonico: nasce così la sua prima vera hit, “L’estate di John Wayne”.
I classici
Questa prima parte della scaletta, vera o romanzata che sia, serve al musicista marchigiano per contestualizzare la sua musica odierna come esito di un percorso che ha radici profonde nella musica black americana, quella degli anni ‘40 di un gigante come Duke Ellington, del quale dice di aver “provato a rovinare con grande piacere” un classico immortale, “Caravan”: ne esce una versione velocissima e cantata con vigore. O ancora quella degli anni 20 del secolo scorso, di Bessie Smith: dal repertorio della grande blues woman riprende “Gimme a Pigfoot (And a Bottle of Beer)”, uno splendido blues in cui Gualazzi si dimostra bravissimo, riuscendo a portare il pubblico dell’Auditorium nell’atmosfera di un juke joint di New Orleans. Suoni che sono senza dubbio nel suo bagaglio culturale, quelli di autori come Dr. John o Allen Toussaint, i padri del New Orleans sound, la città alla quale ha pure intitolato un brano.
Le sue composizioni
A questi grandi classici della storia della musica black, Gualazzi alterna le sue composizioni più pop, come “Follia d’amore”, il lento “Sai (ci basta un sogno)”, la più intima “Vai Via”, nata per esorcizzare un abbandono, o il lato più da crooner che riserva per l’unico bis, in un continuo gioco di rimandi in cui i due aspetti della sua musica si intrecciano e si fondono. In questo excursus sulla sua carriera si arriva infine all’ultimo disco, che presenta come un lavoro dai contenuti scomodi, e l’incipit del brano “Nah Nah” non nasconde il suo pensiero (Basta, non ne posso più di tutti quegli scemi / Che mi voglion far sorridere di questo mondo ignobile).
Due omaggi chiudono la serata, dimostrando così anche la versatilità ed ecletticità del musicista: il primo è dedicato a Giuseppe Verdi, del quale rielabora un’aria, il secondo è invece per Nat Gonella, trombettista jazz inglese, ma di evidenti origini italiane, del primo ‘900, del quale riprende una strepitosa versione di “Let Him Live” che chiude il concerto tra gli applausi del pubblico. L’impressione finale è che quando si cimenta con le cover jazz, swing e blues, Gualazzi sia veramente un fenomeno per bravura, tecnica, e conoscenza della materia. Quando propone brani autografi, soprattutto quelli più pop, nella ricerca di coronare il suo sogno di rendere popolare in Italia il jazz, lascia forse in secondo piano queste sue doti innegabili, correndo il rischio di sembrare solo uno dei tanti bravissimi cantautori italiani.
SETLIST
A Simple Song
Crazy Rag Blues
Calda estate
L’estate di John Wayne
Caravan
Nah Nah
Vai via
Gimme a Pigfoot (And a Bottle of Beer)
New Orleans
Follia d’amore
Sai (ci basta un sogno)
omaggio a Giuseppe Verdi
Let Him Live