LUCA DE GENNARO: racconto i live che ho vissuto (Intervista)
LUCA DE GENNARO
“LIVE! IO C’ERO”
I podcast che raccontano i grandi concerti.
Intervista di Luca Trambusti
Luca De Gennaro (classe 1959) è uno storico e famoso conduttore radiofonico e critico musicale. La sua voce ci ha fatto compagnia per tanti anni su Radio Rai, e ora lo si può ascoltare su Radio Capital.
La sua attività è legata anche a MTV che nel 1996 lo vuole a capo del dipartimento “Talent & Music” per sovrintendere alla strategia musicale del canale, curare le relazioni con artisti e case discografiche ed essere responsabile del booking degli ospiti musicali dei programmi live.
Da luglio 2016 Luca De Gennaio dirige VH1, versione italiana dell’omonimo canale statunitense del gruppo Viacom.
Una lunga esperienza che lo ha portato a una grande conoscenza espressa oltre che nelle sue trasmissioni radiofoniche anche in alcuni libri.
Ora pure lui si affaccia al mondo dei podcast. Lo troviamo infatti in “Live! Io c’ero”, dieci puntate disponibili su Spotify in cui racconta la sua esperienza in altrettanti epocali concerti. Il tutto con estrema semplicità, contestualizzando le storie e con il corretto ritmo radiofonico. Racconti di “prima mano”, in cui la realtà s’incontra con il mito. D’altronde porta il suo ricordo dei live di Pink Floyd, Springsteen, Bowie, Prince, Nirvana, Rolling Stones, Clash, Police, The Who e Patti Smith.
Partendo dal suo podcast abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Luca De Gennaro sui live. Questa la sintesi.
Il Podcast
Come nasce questa serie di podcast?
Nasce da un’idea del team di OnePodcast che è la società delle radio del gruppo GEDI (DeeJay, Capital, M2O) che si occupa di podcast. Lo spunto era quello di parlare di eventi storici importanti e recenti. L’idea è stata focalizzata sui grandi concerti e mi hanno chiamato per farlo. Ho pensato che fosse corretto raccontare quei concerti che io ho vissuto direttamente. Da qui il “Io c’ero” presente nel titolo. Ne ho selezionati dieci e con Leo Zani, un autore radiofonico, li abbiamo scritti.
Quindi sono tutte storie reali?
Tutte storie assolutamente reali, anche nella loro drammaticità, come quando sono finito in ospedale o stavano per arrestarmi.
Che arco temporale copri?
Il più vecchio che racconto sono i famosi concerti di Patti Smith del 79 a Bologna e Firenze. Il più recente è il live degli Who all’Arena di Verona del 2007 con il nubifragio e la tempesta sul pubblico e band. Ci sono molti anni 80 con i Clash, i Rolling Stones a Torino, i Pink Floyd a Venezia. Nella prossima serie che metteremo in cantiere a breve e che sarà su sette concerti, si va anche più indietro.
I primi concerti
Le storie non ti mancano considerati i tanti show visti. Quando hai iniziato a frequentare i concerti?
Il primo concertol’ho visto che avevo 10 anni, oggi ne ho 63. Ho avuto la fortuna di avere dei fratelli maggiori che mi hanno fatto crescere con la musica. Da bimbo ascoltavo e cantavo le canzoni dei Beatles a memoria senza sapere l’inglese, ma neanche l’italiano. Mi ricordo che il primo concerto a cui mi hanno portato i miei fratelli, negli anni ’70, era quello dei Colosseum con i Trip, gruppo prog italiano, in apertura.
Il piccolo Luca De Gennaro era però spettatore inconsapevole…
No, mica tanto. Me lo ricordo bene. Sempre nei ‘70, abitavo a Torino, sono andato in una discoteca. che si chiamava College a vedere i Van Der Graaf Generator che suonavano anche tardi di sera. Eravamo dei bambini, ma la fortuna era che la madre di un mio amico era amica del proprietario di questa discoteca, per cui lei ci accompagnato e ci ha affidati a lui. Eravamo piccoli ma consapevolissimi, cioè volevamo noi andare a vedere. Ma ne ricordo tanti altri.
Passano gli anni
Tu hai vissuto diverse stagioni dei concerti dai ‘70, fino adesso. Ti voglio allora fare due domande. La prima è: com’è cambiato il rapporto, la relazione e l’importanza del live per un artista? Quanto pesa adesso? C’è differenza da allora?
Il live ha sempre pesato tantissimo. Credo però che oggi, con il tipo di comunicazione attuale, devi sempre essere presente e il fatto di fare dei concerti serve anche a questo, a essere sul pezzo. È una sorta di certificato di esistenza in vita. Io non credo che potrebbero esserci più casi come i Beatles che a un certo punto, quando sei la più grande band del mondo, dicono “non suoneremo mai più” echiudono con i concerti.
E poi c’è la pressione economica perché comunque si campa con il live. Infine i musicisti sono contenti quando salgono sul palco, è il momento della grande soddisfazione. Anche dal punto di vista discografico è cambiato molto. Un tempo i live portavano più vendite dei dischi e poi gli album che venivano registrati ai concerti erano la summa della carriera di un’artista. Peter Frampton con “Comes Alive!”, i Deep Purple con “Made in Japan”, il live al Fillmore dell’Allman Brothers Band, i Cheap Trick… Quanti altri dischi conosci dei Cheap Trick oltre il favoloso live at Budokan? Adessola registrazione di un concerto può essere un modo per allungare la vita agli streaming di un album o per essere presenti tra un tour e l’altro.
E invece come è cambiato il concerto nella sua organizzazione, nel suo significato sociale? E soprattutto quanto è cambiata la relazione tra live e pubblico?
Basta vedere il film di Woodstock per capire quanto erano poco organizzati all’epoca. Non è possibile che si mettano tutti quei fotografi ammassati, che possono cadere, farsi male. O tutta quella gente sul palco. L’idea della sicurezza non esisteva. Uno faceva quello che gli pareva, anche per i volumi. Tecnologicamente tutto è cresciuto.
Per il pubblico ora è completamente diverso per via anche dei social, nel senso che la gente, esagero, ai concerti va per fare i filmini. Un addetto ai lavori parlando dei concerti nei grandi spazi estivi, mi ha fatto notare che i palchi sono tutti sviluppati in altezza per stare nelle Instagram stories che sono in verticale; sono instagrammabili.
L’approccio è cambiato perché tu vai e fai vedere ai tuoi follower che ci sei a quel concerto, che sei figo perché sei lì, a un appuntamento imperdibile. Ora vai ai concerti e comunichi alla tua tribù. Prima andavi al concerto insieme ai tuoi pari. Eri in una grande famiglia e parlavi in codice, a un accordo di chitarra, a una canzone ti guardavi negli occhi con uno sconosciuto e con complicità vi dicevate, hai sentito che sta facendo proprio quel brano? Quelli come te erano ai concerti e stavate bene lì. Adesso c’è questo fattore del distacco dato dai social.
I concerti: dove e come
Quando ti capita di dire: “Caspita, che bel concerto”?
È un insieme di fattori. Per prima cosa sono sempre dalla parte dei pezzi, quindi ci vogliono le canzoni. Se hai organizzato bene la tua scaletta, per cui riesci a fare un percorso musicale del tuo repertorio, già fa tutta la differenza. La sequenza delle canzoni in un concerto è importantissima, con cosa cominci, come entri sul palco. Poi un concerto è bello quando a un certo punto dico: “Vabbè OK, mi avete convinto”. Peraltro io cerco di andare anche a concerti di artisti che conosco poco per vedere cosa fanno, che presenza hanno sul palco e qual è il loro senso dello spettacolo.
Cosa preferisci: un festival, un concerto nel palasport, un live a teatro o quello in un club?
Io sono un grande amante del festival, sono unfrequentatore di festival. Mi piace il concetto, cioè il fatto che, come dicevo prima, non c’è solo la tua tribù, ma ce ne sono tante che si uniscono e in quei giorni si parla a tutti e fra tutti, scoprendo e appassionandosi magari anche a cose nuove e diverse. La line up di un festival ti fa capire che gente troverai. E quindi mi emoziona l’idea di vivere insieme ad altri appassionati. Ci sono dei festival in cui stai bene anche, per assurdo, se non vai a vedere nessun concerto, perché èbello stare lì per la grande magia dell’evento.
Ora però dopo tanti anni di militanza dei concerti devo dire che un live a teatro me lo godo perché è comodo. Però non ne faccio solo una questione di tipologia di location, dipendedal concerto. Ci sono dei posti che per me sono scomodi, magari organizzati male, lontani da casa, con il parcheggio difficile, si sente male o il bar è pessimo. Ecco in questi posti ci vado solo se chi suona mi interessa veramente tanto.
I concerti: la classifica di Luca
Il concerto che ricordi con piacere
Ognuno ha la sua classifica di concerti dell’anima. Nella mia ci sono tutti e tre i concerti deitour dei Genesis con Gabriel: quelli di “Foxtrot”, “Selling England By The Pound” e “The Lamb Lies Down On Broadway”. Sono stati uno più bello dell’altro. (VEDI QUI LIVE GENESIS)
Poi c’è quello dei Talking Heads al Palasport di Roma nel dicembre 1980, il tour di “Remain in lights”, che ha cambiato la percezione verso la band. Nel senso che siamo andati lì tutti pensando di vedere il progetto di un gruppo qualsiasi e invece fu una grande sorpresa. (VEDI QUI)
Poi il primo che ho visto di Springsteen, 1981 a Zurigo (11 aprile) nel Tour di “The River”. Anche lì vai a un concerto e quando esci dici “Dio mio, che cosa ho visto stasera?” Una cosa assurdamente inaspettata.
Aggiungo poi David Bowie al Frejus negli anni ottanta (27 maggio 1983) il tour di “Serious Moonlight”. Anchelì, tu vedi una roba e dici, ma questo non è umano. Bowie era una specie di semidio, riusciva ad avere un’aurea di divinità intorno che era pazzesca.
Qual è il concerto che ti spiace di non aver mai visto e non potrai più vedere?
Bob Marley, maledizione. Avevo un esame all’università e non potei andare da Roma a Milano. Ancora mi rode.