I SEGRETI: i loro live tra paura ed eccitazione Intervista
I SEGRETI
Ogni live è un mistero e ci mettiamo in gioco
Intervista di Luca Trambusti
Lo scorso marzo I SEGRETI, da Parma, hanno pubblicato il loro terzo disco dal titolo “Bellissimo”, che arriva dopo che nel 2015 avevano esordito con un Ep autoprodotto, seguito nel 2018 da “Qualunque cosa sia” (il primo album) e nel 2020 “Qualcosa da risolvere”. La formazione è un trio formato da Angelo Zanoletti (voce, tastiera e synth), Emanuele Santona (basso) e Filippo Arganini (batteria) a cui sul palco si aggiunge un chitarrista.
“Bellissimo”,realizzato con la produzione artistica di Matteo Cantaluppi, è stato concepito come una sorta di vinile virtuale, con una side A e una side B complementari. La band racconta: “Il fatto che si vive e si muore è bellissimo. Il nostro terzo disco è composto da dieci canzoni di richieste, di affermazioni e di tutto quello che è più difficile da spiegare ad alta voce. Sono brani che raccontano il corso di questi ultimi due anni, sono nati da sensazioni e intenzioni diverse, ed è anche per questo che abbiamo voluto che uscissero in due momenti separati.”
In contemporanea con l’uscita del nuovo disco il gruppo parte anche per un live portando dal vivo il proprio stile, con un sound elettrico, in cui dominano le chitarre che richiamano alla mente il pop britannico degli anni novanta, insieme ai synth anni ottanta e all’elettronica moderna.
In un’intervista con Angelo Zanoletti, frontman de I Segreti abbiamo parlato della loro attività live e di cosa significhino i concerti per una band indie, lontana dalle grandi produzioni ma più “sanguigna” nell’esecuzione.
Prima di parlare di live, di musica dal vivo, di concerti vorrei partire dalla storia del gruppo. Chi siete, come nate, come arrivano i vostri dischi?
L’inizio del gruppo risale a tanti anni fa, al 2013. Negli anni sono cambiate più formazioni, l’unico sempre presente è il batterista, sino ad arrivare nel 2015 con Emanuele a un Ep e poi il 2018 col nostro disco con la formazione definitiva in trio. Da allora siamo rimasti sempre così. La scrittura tendenzialmente nasce dal fatto che abbiamo gusti piuttosto diversi, nel senso che c’è chi più rockettaro, chi ha un’anima beatlesiana, io sono sicuramente più dalla parte cantautorale. Arrangiamo comunque tutti insieme con anche il produttore con cui lavoriamo, che in questo disco è ancora Matteo Cantaluppi, è il terzo disco che facciamo insieme. Il risultato finale è che facciamo pop italiano, diciamo la musica leggera. In ogni disco poi ci piace anche cambiare, rimetterci ogni volta in gioco in maniera diversa.
Questo per quanto riguarda la discografia. Veniamo invece all’aspetto live. Suonare dal vivo in questo momento in Italia per gruppi come voi è sempre molto più difficile; trovate questa difficoltà nell’esibirvi?
In realtà siamo molto fortunati, perché abbiamo quasi sempre avuto la possibilità di suonare senza problemi. In generale, è vero che è complicato, però nel nostro caso abbiamo avuto l’occasione di poterlo fare, quindi pur riconoscendolo il problema non lo è per tutti. All’uscita di quest’ultimo disco abbiamo avuto un bel po’ di date prima del tour estivo e ce ne saranno anche in autunno, quindi insomma siamo felici.
Come ve la spiegate questa non difficoltà nel suonare dal vivo?
Sia chiaro che non me la voglio tirare, ma è una constatazione. Abbiamo la fortuna di trovare persone che credono probabilmente al progetto e quindi vogliono lavorare con noi. Sono persone che si affezionano alle canzoni e che ci danno la possibilità di portarle in giro, di farle sentire. Penso sia questa la risposta.
Come cambia la vostra produzione musicale, dal disco al live? Che passaggio di arrangiamento c’è? Siete della scuola “dylaniana”, stravolgiamo tutto, oppure di quella “fedeli al disco”?
Stiamo in mezzo, nel senso che nel disco abbiamo qualche sequenza,nei live però non ne usiamo tante, andiamo molto dritti quindi coi nostri suoni e un chitarrista che viene con noi a suonare live, quindi siamo fedeli, rimaniamo fedeli. L’importante secondo me è che ci sia la sensazione di suonare veramente. Ecco è un live in “faccia”. Questo secondo me è molto, è fondamentale suonare gli strumenti e usare proprio i tuoi suoni.
Quanto è importante il live per voi? Preferite un’attività creativa e di sviluppo in studio, oppure una parte più “bestiale”, più immediata?
Dipende dai momenti, in alcuni hai più voglia di portare dal vivo quello che stai facendo, in altri invece preferisci chiuderti in studio e lavorare in incognito. Sicuramente per il tipo di canzone che facciamo noi la parte live è fondamentale perché le nostre sono melodie da cantare ed è bello farlo in concerto. Personalmente mi piacciono i live, ma mi spaventano tremendamente. Di base non vivo molto bene lo stare sul palco, ma dall’altra parte quando poi lo fai c’è un’emozione del tutto singolare. Sembra un po’ un controsenso, però ho questa doppia faccia del live, questo mistero che però è interessante.
Che cosa intendi esattamente per “mistero”?
È sempre un mettersi In gioco. Di quello che fai le persone recepiscono una loro realtà e quindi molto dipende da noi, abbiamo una responsabilità in questo senso. Quando sei sul palco questa responsabilità pesa a livello emotivo, perché mettersi in gioco non è sempre facile. Poi, io parlo per me che sono persona introversa, cantare e cercare di riportare nei live le stesse emozioni fatte in studio ha un peso emotivo enorme.
Come scegliete le scalette dei concerti?
Abbiamo la nostra scaletta standard dove attualmente c’è un insieme del nuovo disco e di quelli più vecchi. In questo momento sono18 canzoni, che facciamo anche in base al contesto o di quanto possiamo suonare. Se condividiamo il palco suoniamo un po’ meno e ne togliamo qualcuna.
Quando, secondo voi, un concerto è riuscito bene?
Beh, principalmente quando senti che hai un feedback dal pubblico, quello è la prima cosa, quando ti rendi conto se il pubblico è coinvolto. Poi c’è anche il fatto dell’esecuzione: se lo facciamo bene, siamo contenti comunque, anche se magari la serata poteva andare meglio. Fondamentale è quello che faccio io, che da frontman porto avanti “la baracca”.
Quanto vi gratificano le reazioni del pubblico?
Molto ed ha sempre strano. Perché pensare che qualcuno canti le canzoni che facciamo non è così scontato, nonostante siano anni che suoniamo in pubblico, stupisce sempre sentire una persona che canta, che condividequello che abbiamo detto e le parole che abbiamo scelto, perché poi non sai mai come vengono interpretate. Anche questo fa parte del mistero di cui parlavamo prima,quel grande mistero che circonda tutto l’aspetto live.
Spesso si pensa al musicista star che ha una struttura operativa intorno a lui. Per voi non è così, il vostro mondo non è questo. E l’esecuzione sul palco è solo una parte del tutto. Com’è una giornata tipo di un concerto per una band come la vostra?
In effetti siamo assolutamente autosufficienti, facciamo tutto noi. Arriviamo al locale dove faremo la serata, scarichiamo gli strumenti e abbiamo anche per fortuna il nostro fonico che ci dà la mano a scaricare, a montare le cose. Poi aspetti il momento del soundcheck, dopo beviamo un vino o birra che sia e ci rilassiamo un po’. C’è chi mangia prima, chi dopo. Io mangio dopo perché devo cantare. Dopodiché finito il live, o anche prima del live, prepariamo il banchetto con le magliette, dischi eccetera e dopo l’esibizione andiamo subito dietro al merch a salutare chi è venuto a vederci. Poi si smonta, beviamo qualcosa ancora, stiamo lì a cazzeggiare un pochino, a raccontarcela a ridere un po’ e dopo si va a dormire
E la mitica vita nel furgone?
Eh, quella è un obbligo! Se dobbiamo andare ad Alberobello partendo da Parma, sono 5, 8 ore e quindi volente o nolente fai tante ore di viaggio insieme durante le quali ascolti musica, leggi, parli, a volte mangi.
È un momento pesante o è un momento conviviale, di condivisione, in cui magari nascono idee tra di voi?
Entrambe le cose. In 5 in macchina, magari sei dietro, in mezzo, spappolato tra due persone, c’è per forza la condivisione. A volte vorresti condividere anche un po’ meno e meglio… soprattutto gli spazi.
Dicevi che sei un introverso e che tutto sommato il live è anche un momento che non ti esalta più di tanto. Però che cosa significa salire su un palco? Cioè il momento esatto in cui ti affacci e ti rendi conto che 100, 1.000 o 10.000 persone sono lì per te come si vive? Cosa si prova?
Come dicevo prima, la sensazione è un po’ contraddittoria tra paura e emozione, ma la voglia di farlo a quel punto è tanto forte. L’impatto almeno su di me fa questo effetto: è difficile viverlo, è troppo per me, c’è tanta emozione, perché devi cantare, portare te stesso su un palco, essere anche giudicato dalle persone che hai davanti e passi da una grande emozione alla grande paura. Quando però inizi è bello farlo, è solo difficile iniziarlo, poi dopo il via è tutto in discesa. L’inizio è complicato e allora ti aiuti anche con la scaletta dove metti tra i primi pezzi quelli in cui ti senti più sicuro, quelli con cui puoi mascherare meglio ciò che stai vivendo, le tue paure, le tue ansie, Sono dei piccoli escamotage tattici.
Il concerto che ricordi con più piacere.
Ultimamente quello che abbiamo fatto a Milano all’ARCI Bellezza è stato molto bello, perché a Milano non suonavamo da tempo e c’era il locale con tante persone, ma soprattutto tante persone affamate di cantare le canzoni. Lo stesso è successo a Roma all’ Alcazar. Penso che la parte più commovente sia quando diamo qualcosa al pubblico che poi ci restituisce questo qualcosa. Allora è molto bello.
E quello che è stato un incubo?
Ce ne sono tanti, tanti. Ne ricordo uno in Campania in cui non vedevo l’ora che finisse ed eravamo solo al quarto pezzo.
Ma per quale motivo?
Possono essere tanti i motivi, può essere che in quel momento lì non sei dentro la performance, non riesci a performare come vorresti. È anche un fatto mentale, forse sul palco devi essere libero, libero di esprimerti, libero da altri pensieri. Ci sono serate in cui è facile farlo e sei anche più performante, ce ne sono altre in cui fai fatica a darti agli altri, al pubblico. E comunque il concetto è che devi sempre dare qualcosa, no? Soprattutto cantando lo devi fare ancora di più, perché passa tanto dalla voce. Quindi il fatto di dover parlare, dover cantare e quindi in automatico dare qualcosa agli altri a volte non è facile, perché non vorresti dare niente agli altri, in certi momenti ti senti chiuso, vuoi essere lasciato in pace.
Invece da spettatore, qual è la tua frequentazione di concerti?
Non vado spesso ai concerti perché io non amo stare in mezzo a tanta gente. Ultimamente ho visto i Phoenix quest’estate al Festival “La prima estate” in Toscana, sono un fan dei Phoenix ed è stato un live bellissimo. In generale non sono un affamato che dice non riesco a star senza concerti, ma nessuno di noi tre lo è. Siamo di Parma e a Parma non c’è tantissimo in giro a livello musicale, c’è stato qualcosa a Parco Ducale, se magari fossimo di Milano sarebbe più comodo invece qui a Parma c’è un po’ quell’area provinciale che ti risucchia e ti fa stare con le solite sei persone.
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